venerdì 4 dicembre 2009

OBAMA WAR TAX – IL “SURGE” AFGANO DEL NOBEL PER LA PACE COSTA AD OGNI AMERICANO 195 $ E L’IDEA DI UNA TASSA PRENDE PIEDE


I DEMOCRATICI VOGLIONO FAR PAGARE I RICCHI, MA NANCY PELOSI TEME LA BATOSTA ELETTORALE NEL 2010 – INTANTO A WALL ST. LE INDUSTRIE MILITARI BRINDANO: IN OTTO ANNI SONO SALITE DEL 75%, IL RESTO DELL’1%…

Francesco Semprini per "La Stampa"

Dopo i soldati, i soldi. All'indomani dell'annuncio sull'invio di altri 30 mila militari in Afghanistan, negli Stati Uniti è scontro sui finanziamenti alla guerra. I rinforzi costeranno un milione a soldato, ovvero 30 miliardi di dollari in più rispetto ai 130 già inseriti nel budget per la missione che il Congresso voterà nei prossimi giorni.

A Barack Obama spetta il delicato compito di spiegare come pagherà per la guerra vincendo lo scetticismo di quei repubblicani contrari all'escalation e l'opposizione della sinistra liberal e pacifista che chiede il ritiro delle truppe. Dati alla mano, i rinforzi costano 2,5 miliardi di dollari al mese, ovvero almeno 195 dollari a contribuente, abbastanza da far raddoppiare la spesa bellica per l'anno fiscale 2010 rispetto al 2009.

Secondo il Center for Arms control e Proliferation di Washington così solo nel 2010 l'investimento per la missione sarà pari alla metà di quanto gli Usa hanno speso dal 2001 ad oggi. Cifre enormi che portano a sfondare il tetto dei mille miliardi da quando sono iniziate le guerre in Afghanistan e Iraq gravando sul già pesante debito pubblico, salito quest'anno all'85% del Prodotto interno lordo. Il rincaro arriva inoltre in una fase delicata per l'economia Usa, con una ripresa post-crisi lenta e macchinosa e la disoccupazione oltre il 10%.

«Obama e il Congresso ora devono affrontare la questione in modo credibile e veloce», avverte il New York Times in un editoriale, in cui si apprezza tuttavia lo sforzo del presidente di aver fissato un prezzo credibile per la sua escalation, e per aver promesso di lavorare con il Congresso per i fondi, al contrario di quanto ha fatto per anni George W. Bush che «cercato di nascondere il vero costo delle guerre in Afghanistan ed in Iraq».
Nancy Pelosi - democratica - speaker della Camera - esulta per la vittoria del si alla riforma

Il problema è capire dove attingere per evitare voragini di bilancio: si è parlato di tagli su altri capitoli di spesa, o del ricorso all'emissione di War Bond sul modello di quanto fatto da Franklin D. Roosevelt nella Seconda Guerra mondiale. A farsi strada nei giorni scorsi è stata l'idea di una War Tax - un modo per far pagare ai ricchi e alle grandi corporation il peso dei rinforzi - avallata da influenti democratici, ma osteggiata dal presidente della Camera, Nancy Pelosi che teme le ricadute in termini di consensi per l'impopolarità della misura. Secondo le stime i costi reali pro-capite potrebbero comunque lievitare tra i 400 e i 600 dollari entro i prossimi due anni, e sempre che tutto vada secondo i piani di Obama che da parte sua deve spiegare a quali criteri ricorrere per capire quando l'Afghanistan sarà in grado di stare in piedi da solo.

«Sebbene sia una buona idea fissare una scadenza» per il ritiro, sferza il «Times», sono forti i dubbi sul fatto che il presidente «possa rispettare la scadenza annunciata per luglio 2011». Intanto ieri in Senato, durante il capo del Pentagono, Bob Gates, dopo aver firmato l'ordine di dislocamento dei 30 mila militari, ha rivelato che i rinforzi potrebbero salire a quota 33 mila uomini grazie alla flessibilità concessa dal presidente per l'invio di «équipe mediche, intelligence, ingegneri e sminatori: ovvero tutto il personale necessario a salvare la vita dei nostri soldati».

Un incremento destinato a gravare di più sul budget e a inasprire il dibattito politico. E mentre per i revisori di Congresso e Casa Bianca si preannunciano tempi difficili, Wall Street si scandisce lo slogan «Finché c'è guerra c'è speranza». I titoli del settore Difesa e Aerospaziale contenuti nello S&P 500 hanno infatti segnato rialzi sin dalla vigilia dell'annuncio di Obama e il trend pare destinato a proseguire visto che il sottoindice di settore è cresciuto del 75% (contro il +1% di quello generale) da otto anni a questa parte, ovvero da quando Washington ha inaugurato la nuova fase bellica.

Lettera a chi vuole controllare la rivoluzione colorata viola !!!


di Pino Cabras - Megachip.

Ehi, dico a te,
Oh sì, vedrai, il 5 dicembre anche io sarò in piazza per dire che il Caimandrillo farebbe bene a preparare le valige. Non se ne può più di lui, davvero.
E anche tu – che sai tirare tanti fili - non ne puoi più di lui, l’ho capito. Vedrò tutti da vicino, avvolti dal viola di questa rivoluzione colorata,il pigmento unico che già oggi omologa un’intera collezione autunno-inverno con un'uniformità mai vista prima.

Andiamo verso i disordini e la dissoluzione della Repubblica, ma ben vestiti, e ben pettinati. Alla moda.
Viola.

E tu provi a colorare la crisi italiana proprio mentre si muove dentro una crisi più vasta. La fai viola, proprio ora che siamo al verde, e i conti in rosso. In gioco c’è qualcosa di più della sorte di un governo azzurro, nero e verde-padano. La Seconda Repubblica si trasformerà ancora, e la sfera pubblica sarà modificata da tanti protagonisti che lasceranno un’impronta costituzionale nuova. Il popolo sarà coinvolto, ma il derby vero si giocherà nell’élite. Chi sono i giocatori? Chi sono gli allenatori? Intanto, tu vuoi scegliere il coach più di tutti, come sempre.

A vent’anni dalla rimozione del muro di Berlino un nuovo scossone geopolitico sta prendendo forma. La fine del sistema sovietico – che ti lasciò a manovrare la sola superpotenza rimasta - ti aveva spinto a lanciarti nel tentativo di consolidare un nuovo secolo di egemonia mondiale, stavolta senza rompiscatole né a Mosca né altrove.

Però ce lo siamo già detto, no? Non ha funzionato.

Il corso degli eventi dell’ultimo ventennio ha dato torto a uno dei tuoi, Francis Fukuyama (la fine della storia), e ragione a uno dei nostri, Giambattista Vico (l’eterogenesi dei fini): ancora oggi, se leggi Vico, scopri che tu vuoi sì raggiungere grandiosi obiettivi, ma la storia arriva a conclusioni opposte.
È successo anche adesso.
Fai le guerre per i petrolieri, ma il prezzo del petrolio va talmente in alto che azzera il debito con cui strozzavi la Russia, al punto che ne diventi addirittura debitore. E poi fai entrare la Cina nel tuo sistema di commercio per conquistarla, ma non fai altro che accelerarne il risveglio, ed eccola lì – una vera superpotenza - a dirti che non comanderai mai in solitudine, perché non sei più la finanza angloamericana di un tempo. E anche con la Cina hai un debito, il più grande. Hai accumulato debiti un po’ con tutti, per la verità. I fasti di New York, di Londra, di Tel Aviv, si sono retti su quei debiti. E in molti si sono fatti contagiare dallo spirito del tempo. Tutta la globalizzazione si reggeva sul debito. Tutte le classi dirigenti che conquistavi seguivano la corrente. Per te, e per loro, i debiti erano una scatola nera che non occorreva conoscere. Non ascoltavi certo Paul Krugman. Né – da noi – prestavi attenzione a Paolo Sylos Labini, che ragionava su una «teoria dell’instabilità finanziaria fondata sull’indebitamento». No, meglio lasciare a briglia sciolta i “capitani coraggiosi” di ogni latitudine, per spolpare con i loro debiti le aziende, l’economia reale, i beni comuni.

La sinistra europea ha “suicidato” così i propri insediamenti sociali, i luoghi dove prima trovava la propria gente, erodendoli, facendoli anche spogliare delle parole.
Complice e stupida allo stesso tempo.

Da noi puoi vederli, questi sconfitti senza appello. Hanno nomi usurati.
Veltroni, oh my god!
Oppure D’Alema. Inservibile, anche per te, che infatti hai convocato una riunione straordinaria di uno dei tuoi club più esclusivi, il Bilderberg, per dettare qualche giorno prima i veri nomi dei tuoi maggiordomi europei.

E l’hai perfino spifferato al quotidiano economico belga «De Tijd», tu che queste riunioni le hai sempre nascoste contando sulla totale omertà dei media mainstream. È la prima volta. La crisi ti rende audace, mi sa.

Vuoi far capire che una delle impronte costituzionali decisive – nella provincia italica, come altrove – arriverà dal tuo piedone. Bilderberg. Il nome che prima non volevi nemmeno far trapelare, ma che tuttora la maggior parte di quelli che dovrebbero informarci si ritraggono dal pronunciare.
Qualcosa mi dice che le costituzioni dei vari paesi europei saranno via via svuotate da questa Europa così poco democratica che hai contribuito a plasmare. Tutti a inseguire fino all'ultimo le dichiarazioni di Martin Schultz, e i socialisti qui, e Gordon Brown là, e il peso dell'Italia, e il ruolo di Angela Merkel nella scelta del presidente Herman Van Rompuy. Alcune di quelle analisi sopravvivono ai fatti. Ma la maggior parte ignora un fatto più grosso degli altri.

Bastava che pochi giorni prima si fosse letto in che modo«De Tijd»davignon, il cugino belga del «Sole 24 Ore», descriveva i veri kingmaker dei vertici europei:
«Van Rompuy ha accettato l'invito a parlare da parte del visconte Étienne Davignon [alla riunione del Bilderberg]. Durante il pranzo, Van Rompuy ha avuto un breve contatto con Henry Kissinger, ex segretario di Stato USA».

Eccoti, con Davignon e Kissinger, mentre fai cerimonie alla riunione straordinaria del gruppo Bilderberg con la spavalderia abitudinaria di chi impone sempre l'agenda agli altri. Che ai tuoi occhi non possono essere leader, ma solo dei “coach”. Infatti lo hai sentito dal vivo, Van Rompuy, ossequioso verso il visconte che presiede il Bilderberg e verso il vecchio Kissinger, mentre diceva: «l'Europa ora ha bisogno di un coach, anziché di un leader.»

I coach puoi esonerarli. Per i leader devi sforzarti molto di più. A volte cambiano strategia.

Prendi ad esempio quello che ora hai sotto tiro, sì lui, adesso che una rivoluzione colorata ti farebbe proprio comodo, per mandarlo via. A suo tempo invece gli aprivi tutte le porte. Lo accoglievi nei circoli atlantisti. Con la sua bella tessera n. 1816 in mano, lo consideravi perfetto per americanizzare la tv italiana e americanizzare con essa la politica. Le tue banche gli davano tutto, i politici affezionati pure, ed eccolo diventare l’insaziabile corpo monarchico del nuovo sistema. Anche lui faceva la sua rivoluzione colorata. Gli Azzurri, ricordi?

Poi si è mosso anche per conto suo.
«Iddu pensa solo a iddu», prima o poi lo capiscono tutti, ma quando è tardi.

Lo sapevi da sempre qual era il suo stile di vita, le sue bagasce, le strette di mano con i boss, la sua megalomania, e così via. E tu non affondavi il colpo. Lo punzecchiavi, sì, con certe severe copertine dell’«Economist», ma era quasi un moderno “memento mori” rivolto al piccolo Cesare di Arcore.
Ora però lui fa da solo. Fa accordi con Putin e con Gheddafi, sembra un incrocio fra Enrico Mattei e un clown in preda alla satiriasi. Il clown ce lo hai fatto sopportare per anni. Ma Enrico Mattei non lo sopporti tu. Perciò, per attaccare Mattei, che potrebbe piacerci, attacchi il clown, che in effetti fa schifo.

E quindi va bene, lo voglio mandare via anche io, te l'ho già detto.

Ma non chiedermi di mettermi una sciarpa viola, come quegli ingenui ucraini che si mettevano la sciarpa arancione. E poi non chiedermi di fidarmi di te, né di Montezemolo, né di De Benedetti, o di Rutelli (oh my god!). Non chiedermi di entusiasmarmi per Di Pietro. Non pensare che mi dimentichi quali sono gli interessi nazionali, e quali gli appetiti internazionali in ballo, e la loro capacità di strumentalizzare buone ragioni. Non farmi trascurare di capire qual è il blocco sociale che ha sostenuto lui. Non farmi trascinare inconsapevolmente fino a disordini da democrazie deboli, facili prede dei poteri forti e semiforti.

No, con questo non voglio fare come il PD, che dice che se qualcuno ci va, a quella manifestazione del cinque dicembre, che faccia pure, e Bersani non sa se ci va, forse, ni, vedremo. «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?» Sempre così. Mai una posizione netta, mai una narrazione ben raccontata, in questo PD. Quando invece potrebbe inondare le piazze anche con le sue bandiere e i suoi colori. Chiamasi opposizione. E invece sono sempre lì, spiazzati. Ancora nel limbo veltroniano. Ci credo che ora anche per te questi sono limoni spremuti, energia definitivamente dissipata, entropia.

Veltroni, oh my god! A proposito di colori, «"Veltroni che colore preferisce: rosso, blu, nero, verde?" - "Scozzese"» (Daniele Luttazzi).

Perciò ci vado, il 5 dicembre ci vado convinto. Ci vado perché troverò quelli che vogliono difendere la carta costituzionale, la Costituzione degli equilibri fra i poteri, e non vogliono farsela divorare e fottere dal Caimandrillo.

Ma con loro voglio ragionare sui pericoli enormi che quella stessa Costituzione vedrà provenire anche da direzioni che non sono abituati a considerare, perché a qualcuno fa comodo che non se ne parli. Insomma: Berlusconi è un pericolo immediato, siamo in emergenza, e perciò mandiamolo via dal governo perché sequestra da troppo tempo il discorso pubblico italiano. Non dimentico però che tu, che hai determinato la crisi, proprio tu sfuggi abilmente alle critiche. Che il tipo di Europa che mi proponi – opaca come il Cremlino di trent'anni fa - non mi piace per niente.

Obama non ha nemmeno provato a tagliarti le unghie. La tua avidità si sfrena come e più di prima che la Grande Crisi iniziasse.
Non posso fidarmi di chi mi vuole illudere che una volta sconfitto Berlusconi il più è fatto. Le rivoluzioni colorate hanno lasciato tutte un campo devastato. Hanno eccitato gli animi, ma non si sono ribellate ai burattinai. A te non sanno arrivare, il colore le distrae. Il viola non farà eccezione.

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I derby politici nazionali hanno una loro utilità per distrarre dal grande cambiamento geopolitico che deriva dalla imminente crisi sistemica globale.
L’anno che sta arrivando, ci ricordano gli analisti economici eterodossi del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB), sarà caratterizzato dal protezionismo e dalla depressione economica e sociale. Dopo aver dato l’anima – e i nostri soldi – per salvare i tuoi superprofitti, rimarranno le scelte dolorose: l'inflazione, la tassazione elevata o ripudiare il debito.

I paesi più importanti (gli USA, il Regno Unito, i paesi dell’Euro, il Giappone, la Cina) non potranno più spremere i loro bilanci come quest’anno, nel quasi vano tentativo di stimolare il settore privato. «Il “consumatore come lo conosciamo”, negli ultimi decenni è morto, senza alcuna speranza di resurrezione».

È uno scenario che tu conosci, ma non sai affrontare con i vecchi metodi. Nel frattempo ti concedi un ultimo giro di giostra con la finanza allegra e i derivati.

Il giro sarà molto più breve delle altre volte.

Berlusconi, uomo di marketing, racconta bugie patetiche sulla fine della crisi, e sta per diventare una delle bugie più insopportabili per una democrazia. Ma anche gli altri pupi di questo teatrino non hanno idea di cosa fare.
Cosa vuol dire il GEAB quando dice che il consumatore conosciuto negli ultimi trent’anni è morto?

Il debito si è reso a lungo apparentemente sostenibile in base alle aspettative di crescita. E la crescita, secondo il modello occidentale degli ultimi trent'anni -specie in USA e Regno Unito - era quasi interamente a carico del consumo.
Nel 2008, i consumi delle famiglie erano il 70% del PIL degli USA e il 64% del PIL del Regno Unito, contro il 56% del PIL della Germania e il 36% del PIL cinese.

Ma oggi il consumatore è spinto a risparmiare i soldi, ripagare i suoi debiti e rifiutare (che lo voglia o no) il modello che gli hai propagandato negli ultimi tre decenni.
È finito questo interminabile ciclo che si basava sulla generazione del baby boom, sul consumatore-massa che riteneva acquisito per sempre il suo edonismo irresponsabile, ben protetto dai solidi sistemi di previdenza che gli avevi promesso, anche quando li nascondevi sotto investimenti azzardati nel casinò delle borse. Questa generazione trova ora una vecchiaia più povera del previsto. E la generazione che la segue ha perfino meno risorse e zero certezze previdenziali.
Niente crescita dal consumo, dunque. Finished. Kaputt.

Gli Stati, molti Stati importanti, che nel 2009 hanno aperto voragini nel debito pubblico, non potranno far altro che aumentare le imposte, togliere la museruola all’inflazione per rimpicciolire il peso del debito, oppure fare default. Sono tutte vie d’uscita dolorosissime, e possono addirittura presentarsi insieme, specie nell'epicentro della crisi, negli Stati Uniti.

Investimenti pubblici, allora? Ma con quale sostenibilità finanziaria, visto che tutti si sono spinti troppo oltre le colonne d’Ercole del disavanzo?
Il tuo sistema sarà forse salvato dalla classe media in espansione di Cina, India e altri? Saranno loro a consumare per te come facevamo noi?
L'industria del lusso in Asia è una storia di delusioni che smentisce il tuo ottimismo.

L'OCSE lo dice: la crisi costerà altri tagli nell'istruzione, nella sanità, nei programmi sociali.
Consumatori che non trainano e anzi riducono drasticamente il loro tenore di vita, Stati che non spendono e anzi tagliano risorse vitali. Banche che non prestano. Industrie che succhiano enormi risorse pubbliche e non vedono il fondo.
Ci stai lasciando un’economia zombi.

Come definire altrimenti Alitalia, Iberia, General Motors, Opel, Chrisler-Fiat, o perfino banche come CIT? Per il GEAB quasi il 30% dell’economia nel mondo occidentale è fatta di morti-viventi economici. Una percentuale mai vista prima. Mentre si rigonfia la bolla, grazie ai bailout, quando avverrà l'inevitabile scoppio questa porzione di economia svanirà. Tu nel frattempo gozzovigli ancora. La tua è pazzia.

Quando ogni posto di lavoro creato in USA costa 324mila dollari allora sai che si sta macinando a vuoto.

Per sopravvivere a una simile tempesta servirà molta partecipazione politica, molta determinazione per fare i conti con le responsabilità. Molta organizzazione, e di certo le reti fuori dai canali tradizionali aiuteranno. Non basterà ripararsi dietro il cappellino viola che piace tanto a te. Conterà molto di più l’indipendenza di giudizio sotto i berretti. Sarà una risorsa strategica importantissima, per chi non va alle tue riunioni esclusive.